Incendi in Calabria, il pompiere Nello Crea: «Un grattacielo di fiamme, piangevamo e pregavamo»- Corriere.it

2022-08-26 18:22:58 By : Ms. sophia R

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L’odissea di una squadra di vigili del fuoco in Calabria: «Eravamo in cinque, l’incendio ci passava sopra come un mostro. Stiamo morendo, abbiamo pensato: ci ha salvato l’equipaggiamento»

Nel riquadro, Nello Crea, 59 anni, vigile del fuoco di Reggio Calabria

Il pompiere paura non ha, dice il motivetto che vi ripetono sempre tutti. «Ce lo ripetono e ce lo ripetiamo in continuazione ma non è così. Siamo esseri umani...E poi per affrontare il pericolo devi avere paura, sennò ti fai male. Ci sono situazioni in cui quel motto non vale per niente».

Mi sta dicendo che avete avuto paura? «Ma moltissima! Ci siamo abbracciati stretti l’un l’altro, abbiamo cominciato a piangere, a pregare, a cercare di aiutarci. Eravamo come topi in trappola, rannicchiati dietro quel cavolo di garage. Avevamo la netta percezione che fosse arrivato il nostro momento. Ricordo che ho pensato: ci troveranno saldati l’uno all’altro...». Sebastiano Crea , per tutti Nello, ha 59 anni. Indossa la divisa dei vigili del fuoco da 30 in quel di Reggio Calabria, territorio che nei giorni scorsi è stato il fronte più incandescente di questa estate di roghi.

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Ve la siete vista brutta, eh... «Sono stati attimi particolari. È un po’ come se Dio ci avesse detto: ora vi faccio provare una nuova giostra e poi, all’ultimo istante ha spento l’interruttore perché ha capito che la stava facendo grossa».

Cominciamo dal principio. Intervento, luogo, squadra... «È stato il giorno 6, a San Lorenzo Superiore, in provincia di Reggio Calabria. Avevamo appena smontato da una notte e siamo andati a fare un turno diurno, io ero il caposquadra. Erano le tre e mezzo del pomeriggio e stavamo scendendo da un Comune più in alto nella zona in fiamme dov’erano morte due persone nel tentativo di salvare un uliveto. Avevamo due mezzi, in tutto cinque persone: io, Santo, Paolo, Enzo e Ciccio».

In che tipo di intervento eravate impegnati? «Avevamo appena scaricato mezza autobotte d’acqua su due bomboloni di Gpl per non farli attaccare dalle fiamme. Finito quello ho detto: spostiamoci perché il fuoco viene verso di noi. Non abbiamo fatto nemmeno 30 metri con i mezzi che oltre una curva abbiamo trovato un grattacielo di fuoco. Giuro, letteralmente: era un grattacielo. Ci siamo trovati all’improvviso in mezzo a due fronti, siamo scesi in tutta fretta dai mezzi, abbiamo visto che c’era un box auto in una specie di canalone. Ci siamo precipitati lì e abbiamo provato in tutti i modi ad aprirlo. Niente, non si apriva. E allora ci siamo rifugiati dietro. Ormai le fiamme erano sopra di noi».

E a quel punto? «Avevamo i nostri giubbotti antifiamma. Abbiamo ficcato la testa dentro lì e ci siamo chiusi nei giubbotti che erano la nostra sola possibilità di salvezza. Non avevamo fumo e non ci hanno raggiunto neanche le fiamme. Ma la temperatura era indescrivibile. Sarà durato tutto 30-40 secondi. Ho trattenuto il respiro più che ho potuto ma a un certo punto ero in carenza di ossigeno e ho respirato: non era ossigeno, era fuoco. Ho sentito i polmoni e le vie aeree bruciare».

Vi dicevate qualcosa? «Sentivo un collega piangere, mi dicevano “Nello stiamo morendo”, “non ce la faremo mai”, “stiamo bruciando”, “che facciamo?”, “aiuto”, “coprimi”. E il fuoco ci passava sopra come un mostro che ci stava cercando. Ho sbirciato in alto solo un frazione di secondo e ho visto in alto le fiamme bianche, segno che avevamo addosso 700-800 gradi di temperatura. Non si sentiva crepitìo ma il rumore che assomigliava a quello di un jet. Non avevamo contatto con il fuoco ma eravamo davanti a una esposizione termica pazzesca».

Come avete fatto a uscire da quella situazione? «Appena abbiamo capito che potevamo rischiare e muoverci lo abbiamo fatto. Siamo scappati fuori e abbiamo raggiunto i mezzi, indenni perché anche su di loro era passato il fuoco di cresta, cioè quello che si trasmette dalle cime fra un albero e l’altro».

Dopodiché? «Dopodiché dovevo mantenere un certo contegno perché, appunto, il pompiere paura non ha. Dovevo parlare con la centrale, chiedere soccorso medico. Ma uno dei miei ha avuto una crisi nervosa, ha cominciato a urlare, non la smetteva più. Gli ho detto: finiscila o ti prendo a schiaffi. E lui: ma guardati come sei combinato! E a quel punto ho avuto un attimo di terrore».

Perché? «Perché proprio come succedeva a lui anche a me usciva sangue dalla bocca. Ho pensato: allora ho respirato il fuoco e ho fatto danni. Poi in ospedale ci hanno spiegato che invece erano solo piccoli capillari rotti. Quando poi ci siamo incrociati con le prime squadre che risalivano al nostro posto sono crollato».

In che senso? «Nel senso che ho visto un collega che saliva, ci siamo abbracciati e ho cominciato a piangere come un disperato. Ho smesso soltanto quando sono arrivato in ospedale».

Ricorda a cosa pensava mentre credeva di morire? «Alla mia famiglia, ovviamente. Ai miei due figli, a mia moglie. Non ho dedicato nessun pensiero alla mia cagnetta. gliel’ho pure detto, dopo. Chissà se ha capito...».

La sua divisa com’è ridotta? «Il giubbotto antifiamma non lo laverò mai più: è una reliquia, mi ha salvato la vita dal calore insopportabile di quei momenti. Pensi che il sudore che avevamo addosso con quel calore è evaporato e in alcuni punti del corpo ci ha causato piccole ustioni».

Quindi il primo grazie è per l’equipaggiamento. «Direi di sì. Poi diremo grazie anche alla madonnina di una chiesetta che era poco più su del punto in cui abbiamo rischiato la vita. Poco prima che succedesse, mentre io ero impegnato con il sindaco, i miei colleghi sono entrati pochi istanti in quella chiesetta a salutare la madonnina. Io l’ho saputo dopo, in ospedale. Ci siamo detti che andremo tutti e cinque a renderle omaggio».

Fisicamente come sta adesso? «Bene. Per i primi due giorni ho fatto fatica a parlare per i danni del calore alle prime vie aeree. Ora sto bene, i danni fisici sono quasi superati del tutto. Per quelli psicologici ci vorrà una vita. Ma sono/siamo qui a raccontarla: non ci hanno ritrovati morti e saldati l’uno all’altro come pensavo mentre ci abbracciavamo. Quindi diciamo che va bene così».

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